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PADRE MARCELO: “LA TERRA GEME DOLORI DEL PARTO” (26-settembre-2022)

Raúl Zibechi, Desinformémonos: https://desinformemonos.org/mexico-iii-padre-marcelo-la-tierra-gime-dolores-de-parto/

“Stiamo vivendo qualcosa di simile ai tempi di Gesù. I romani non avevano pietà, e nemmeno il narcotra co ne ha”, a erma il padre Marcelo Pérez, seduto nel refettorio della parrocchia Nuestra Señora de Guadalupe, a San Cristóbal de las Casas, Chiapas.

La chiesa si erge su un colle che si raggiunge ansimando dopo aver salito 79 gradini. La ricompensa è una vista panoramica straordinaria, con montagne alberate che sovrastano la città coloniale bianca. Al centro, come a unire il manto naturale con le pietre urbane, si trova la chiesa, circondata da una piazza giardinata dove incontriamo il padre Marcelo, sempre circondato da persone che lo consultano e gli chiedono consiglio.

Marcelo si è formato nella diocesi di Tuxtla Gutiérrez, che de nisce “molto conservatrice”, ma è stato inviato a Chenalhó nel 2001, dove la sua vita ha preso una piega inaspettata. “Acteal mi ha dato la luce”, a erma con fermezza. La strage di Acteal, avvenuta il 22 dicembre 1997, con il
bilancio di 45 tsotsiles assassinati mentre pregavano, ad opera di paramilitari addestrati per combattere l’EZLN, continua ad avere una presenza brutale nel municipio e in tutta Chiapas.

“Ero spaventato, ma ho potuto vedere che ad Acteal le persone sono libere. Sono un pastore, ma le pecore sono molto coraggiose. Mi sono unito a loro per denunciare l'impunità e combattere contro il progetto Città Rurali del governo di Juan Sabines”, continua il padre, in un racconto che
lo porta dai suoi anni di formazione all’impegno con il suo popolo.

Ri uta di essere ispirato dalla Teologia della Liberazione e recita i quattro pilastri del suo pensiero e del suo modo di agire: la realtà che a rontiamo, la parola di Dio di fronte ad essa, la posizione della chiesa e gli impegni che devono essere assunti. “Parlare di Teologia della Liberazione signi ca entrare nei con itti”, assicura in modo pragmatico.

Poi torna al suo tema: “Acteal mi ha convertito”. Il dolore che prova quando ascolta i sopravvissuti, Maria, Zenaida, uomini e donne che hanno perso tutta la loro famiglia. “Come dire loro che Dio li ama?”, esclama il padre. Per questo non si ispira alla parola biblica né alla teoria che nasce dal testo sacro, ma prende un'altra direzione: “Piangere con chi piange, so rire con chi so re” e, soprattutto, “camminare con loro”.

Il cammino non è cambiare partito.

Le parole rotolano sulla tavola imbandita con un pranzo semplice. Ci avvolge il loro entusiasmo e la sincerità del loro dolore. “I sopravvissuti sanno leggere, lì c'è la luce”. Impossibile non ricordare parole molto simili pronunciate decenni fa da mons. Oscar Romero, che si espresse in modo analogo al padre di Chenalhó: “Il sangue di Rutilio Grande mi ha convertito”, disse, riferendosi al martire del movimento contadino salvadoreño.

La conversione del padre Marcelo lo ha portato a camminare con il popolo contadino. Non solo ha accompagnato le vittime, ma ha anche denunciato gli autori materiali e intellettuali della violenza, il che ha provocato persecuzioni da parte del governo di Chiapas. “Nel 2008 hanno dato fuoco alla casa parrocchiale, poi hanno danneggiato le candele e le gomme della mia auto, e il 12 dicembre 2010 due giovani mi hanno picchiato per strada”, racconta con calma.

È stato vicino alla morte quando hanno collegato un cavo al serbatoio della benzina del veicolo, il che lo ha portato ad accettare il trasferimento a Simojovel, dove è arrivato il 5 agosto 2011. “Cominciò a venire gente a raccontare il proprio dolore, le morti. Lì ho scoperto che i delinquenti hanno accordi con le autorità, e le denunce hanno provocato minacce”.

L'8 marzo ha organizzato una peregrinazione di donne contro la vendita di droga che avveniva accanto alla presidenza municipale. Lo hanno accusato di essere un guerrigliero e persino un zapatista, mettendo un prezzo sulla sua vita, no a quando nel 2014 il municipio e il PRI hanno
tentato di mobilitare la popolazione contro di lui ma con scarso seguito popolare.

Un punto di svolta è stata la peregrinazione di 15.000 persone in ottobre, denunciando la famiglia Gómez Domínguez, che è entrata in scena attraverso sicari che hanno e ettuato attentati e una campagna mediatica contro il padre Marcelo, che li ha portati a o rire un milione di pesos per la testa del sacerdote di Simojovel.

Nel comunicato citato, il Popolo Credente conclude che i cambiamenti non provengono da un partito “ma dalla società civile, dai popoli indigeni, dalla classe povera e media”, e denuncia che Chiapas “si avvicina a un'esplosione sociale”.

La sua forma di azione è la convocazione di peregrinazioni, a cui hanno partecipato decine di migliaia di credenti, e le denunce contro autorità e politici. È riuscito a impedire che i Gómez Domínguez vincessero le elezioni municipali, ma è stato denunciato per di amazione presso la PGR, anche riconoscendo che “la strada non è cambiare partito”.

Negli anni successivi ci sono stati dei sit-in da parte della popolazione e omicidi da parte della criminalità organizzata, sempre protetta dalle autorità. “Il 12 dicembre 2017 ho celebrato la messa più triste della mia vita, per la morte per freddo e fame di due anziani”. Continua lo sfollamento forzato di intere comunità, con sempre più violenza e morti, bombe e spari. Ma la popolazione ha continuato a resistere.

Nel maggio 2017 è stato creato il Movimento Indigeno del Popolo Credente Zoque in Difesa della Vita e del Territorio (ZODEVITE), e a giugno si è svolta una massiccia peregrinazione verso Tuxtla Gutiérrez contro le concessioni minerarie e di idrocarburi, poiché il governo messicano intendeva concedere a imprese straniere oltre 80.000 ettari, danneggiando più di 40 ejidos e comunità.

La mobilitazione è stata una nuova scon tta dei piani dall'alto, ma la violenza continua. Nel 2021 si sono registrate a Pantelhó più di 200 morti a causa del crimine statale-organizzato, in un municipio di appena 8.600 abitanti nei Altos de Chiapas.

Il 3 luglio è stato assassinato Mario Santiz López. Il 5 luglio 2021 è stato assassinato Simón Pedro Pérez López, catechista ed ex presidente della direzione della Società Civile Las Abejas de Acteal, che promuoveva la non violenza, per il reato di accompagnare le comunità tsotsiles di Pantelhó. Durante il funerale, Marcelo ha accusato il “narco-comune”, ovvero l'alleanza tra lo Stato e la criminalità organizzata.

Sebbene avesse chiesto alle comunità di “non cadere nella tentazione della vendetta”, il 10 luglio è uscito un comunicato del gruppo armato “El Machete”, creato dalle comunità come autodifesa contro la violenza. Il 26 luglio 2021, migliaia di persone incappucciate hanno preso il municipio, e 19 uomini sono stati mostrati nella piazza centrale con le mani ammanettate per avere legami con la criminalità organizzata.

Sebbene si sia trattato di un’azione collettiva comunitaria (un'esplosione dal basso), che apparentemente non è stata convocata da El Machete, la Procura Generale di Chiapas ha emesso un ordine di arresto contro il padre Marcelo per la scomparsa di 19 persone a Pantelhó. Non hanno tenuto conto del fatto che il sacerdote fosse in un altro luogo quel giorno, a Simojovel, che abbia sempre invocato la pace e che sia arrivato il giorno dopo per calmare gli animi.

È la vita del popolo, non la mia

L'ordine di arresto è ancora valido. A ottobre è stato trasferito nella chiesa della Guadalupe, dove ora spiega chi sta provocando violenza e morte. “Le autorità sono complici del narcotra co. Hanno cercato di zittirci attraverso minacce di morte e di amazioni sui social media. Si avverte paura, ma questo non mi ferma”.

Nel suo analisi della situazione, questo indigeno tsotsil, che da 20 anni è sacerdote in Chiapas, sostiene che non è possibile fermare la violenza perché i poliziotti sono sicari, perché “abbiamo uno Stato narco”. È convinto che la violenza si aggraverà e che poi ci sarà una certa calma, ma a costo di molto sangue.

Sostiene che siamo nel mezzo della tempesta, che non si risolve con altra tempesta, ma cercando altre vie. Di da dei poteri e dei potenti: “Se mi uccidono è uno scandalo, ma se uccidono un contadino non succede nulla. Se può servire a qualcosa dare la mia vita, eccomi qui”, conclude.

Prima di salutarci, cita una frase biblica, assicurando che i dolori che attraversiamo sono “i gemiti del parto”. Mette i suoi principi e valori davanti alla sua stessa vita: “Non accetto guardie delcorpo. Va contro il Vangelo che qualcuno muoia perché io viva. Non è la mia vita, ma quella del popolo”. Alla ne del saluto, si confessa: “Non mi do della polizia”.

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